2000 anni di storia

Copertina del libro Tavola di Polcevera

"In cammino da duemila anni sulla strada della storia"

Autore:
GIUSEPPE ROGGERO

 

TAVOLA DI POLCEVERA - ANNO 117 A.C.

La TAVOLA DI POLCEVERA è forse più nota terminologicamente come TAVOLA DI BRONZO.

Questa Tavola venne trovata nell'anno 1506 dal contadino Agostino Pedemonte nel greto del Torrente Pernecco, confluente nel Torrente Secca (nella Valle Polcevera) mentre scavava arena.
Essendo composta di un amalgama di bronzo e di poco argento, venne da lui venduta ad un rigattiere di salita del Prione a Genova, che la cedette per poca moneta a Monsignor Giustiniani, insigne storico genovese, il quale passando per caso di là, e vedutala, ne intuì tosto il grande valore storico e archeologico.
Egli si accinse ad interpretarla e nel 1520 ne pubblicò in Parigi la prima lezione.
Consegnò poi la Tavola ai Padri del Comune che la murarono in San Lorenzo. In seguito fu trasportata nell'Aula Magna del Palazzo Ducale, d'onde passò nella Sala Municipale di Palazzo Tursi. Attualmente si trova nel Museo di Archeologia Ligure -Villa Pallavicini - Via Pallavicini, 11 - Pegli.

 

"La TAVOLA contiene la sentenza pronunciata dai giureconsulti romani intorno alle questioni sorte fra i due grandi popoli in cui era divisa la Valle Polcevera all'epoca romana.
Questi popoli erano le due tribù chiamate i GENUATI ,che occupavano la parte meridionale della Polcevera, e i VITURII-LANGENSI, che occupavano la parte settentrionale, avendo il loro centro a Langasco.
Tanto la parte settentrionale, come la meridionale, erano divise in AGRO PUBBLICO e in AGRO PRIVATO.
Nell'Agro Pubblico dei Langensi, chiamato nella Tavola AGER POPLICUS, tutti quelli che appartenevano alla tribù avevano il diritto di pascolare il gregge, di segare il fieno, di tagliar legna. Del resto anche i Genuati potevano sfruttare la parte del loro territorio pubblico.
Oltre l'agro pubblico, vi era pure il territorio privato, AGER PRIVATUS.
Questo territorio era di assoluta proprietà dei privati, i quali potevano disporne come meglio loro piaceva, vale a dire alienarlo, trasmetterlo in eredità.
Infine oltre l'agro pubblico e privato, vi era l'agro comune detto COMPASCUUS.
Era destinato al pascolo comune, potevano liberamente tagliarne legna e condurvi il gregge a pascolare tutti indistintamente anche se appartenevano a diverse tribù.
Questo territorio era formato dalle regioni montuose e incolte.
Il termine COMPASCUUS, con cui era indicato, corrisponderebbe al termine COMUNAGLIE, usato più tardi.
Ora molti privati, col volgere del tempo, si diedero a coltivare per proprio conto, parte dell'agro pubblico e perciò, non ostante l'autorizzazione avutane dalla Comunità, furono causa di contestazioni e liti sorte tra popolo e popolo, nonché fra privati.
Dalle liti si passò alle ingiurie, da queste a fatti deplorevoli, che meritarono la condanna e la prigione a non pochi Langensi.
Fu invocata allora la mediazione del Senato Romano, il quale mandò i giureconsulti Quinto e Marco Minucii."

 

QUESTI PRONUNCIARONO LA LORO SENTENZA, CHE E' SCRITTA APPUNTO NELLA TAVOLA DI POLCEVERA.

Nella sentenza furono assegnati i confini dell'agro pubblico e di quello privato, furono determinati i diritti e gli oneri dei privati e delle comunità, fu ordinata la liberazione dei prigionieri e fu infine stabilito un canone annuo da pagarsi dai LANGENSI ai GENUATI, canone consistente nella somma di 400 VITTORIATI, oppure nella vigesima parte del frumento e nella sesta del vino.
Da questo canone possiamo argomentare quanto fosse florida l'agricoltura in quell'epoca così lontana, dal momento che il frumento e il vino erano prodotti in proporzioni tanto alte.
Possiamo anche argomentare come fosse già numerosa la popolazione, dal momento che il terreno era tanto avidamente ricercato per essere coltivato.
E ciò soprattutto deve dirsi della Bassa Polcevera, la quale doveva essere più fertile e più coltivata della parte settentrionale.
Nella Tavola di Bronzo, la POLCEVERA è chiamata PROCOBERA e PORCOBERA.
Questo appellativo appare alquanto modificato nei documenti del secolo decimo, in cui è detta PORCIFERA ed anche PULCIFERA.
Anche Plinio del resto aveva chiamata la Polcevera PORCIFERA, ed egli stesso aveva dato il commento e la spiegazione di questo nome dicendola "ferace di porci".

Monsignor Francesco De Negri - San Cipriano in Val Polcevera - 1937)